Caso chiuso?

Mercoledì 29 marzo 2006, dieci boneheads vengono condannati dal Tribunale di Milano per alcuni tra i più gravi episodi di intolleranza verificatisi in Lombardia dalla primavera del 2004. E' l'epilogo di una vicenda che a Bergamo ha lasciato il segno. Ma l'epilogo “penale” di questa vicenda non è un epilogo soddisfacente, non solo perché il carcere non rappresenta in nessun caso la soluzione del problema (quale che esso sia), ma anche perché lascia in sospeso altre e ben più importanti questioni.

 
Alcuni elementi relativi alla vicenda meritano di essere presi in considerazione. Innanzitutto i quotidiani affrontano la questione nella cronaca locale e senza risalto, ma soprattutto senza esprimere alcun giudizio in merito, come se si trattasse di reati comuni. Molto differente è la condotta dei mezzi di comunicazione in casi analoghi, dove, però, altri sono gli attori coinvolti: si pensi, a questo proposito, alla visibilità accordata a reati compiuti da migranti, o ad episodi che il mondo dell'informazione ha etichettato con il termine “bullismo”, o, ancora, si pensi all'approccio della stampa nei confronti della sinistra radicale, a prescindere dalla definizione utilizzata: anarchici (etichetta che a Bergamo ultimamente va molto di moda, per ogni occasione, quale che sia l'orientamento degli attori coinvolti), no global, disobbedienti, autonomi.. In secondo luogo, decade l'accusa di associazione a delinquere e con essa l'opportunità di fare luce realmente su ciò che è accaduto. Gli episodi contestati, gravissimi (si pensi che tra le accuse comparivano diversi tentativi di omicidio), sono stati perpetrati sempre dalle stesse persone, facenti riferimento a due gruppi principali (uno di Milano e uno della bassa bergamasca), chiaramente connotati politicamente e frequentatori abituali di un luogo anch'esso politicamente connotato, la Skinhouse di via Cannero a Milano, già coinvolta nel 1998 in un operazione di polizia volta a colpire la rete italiana del network internazionale nazista Hammerskin, quale punto di riferimento principale dell'organizzazione in Italia (il locale di via Cannero viene, a tutt'oggi, indicato come tale dal sito web ufficiale del network). Non è dettaglio di poco conto quanto emerso dalle indagini della Magistratura milanese, secondo cui uno degli undici boneheads imputati, avrebbe ricoperto il ruolo di tramite tra gli hammerskins della Skinhouse e il resto del gruppo, che, comunque, utilizzava lo stabile di via Cannero per finanziare le proprie attività e come base logistica (da dove, tra l'altro, nell'agosto 2004, i boneheads partirono per l'attacco sui Navigli). Sorprendentemente la Skinhouse viene solamente sfiorata dalla vicenda giudiziaria e nessuno pone in evidenza la strategia regionale sottesa alle azioni del gruppo (sviluppatesi nell'arco di due anni circa), se non addirittura una vera e propria regia dietro di esso. A pagare come sempre sono i burattini, mentre i loro burattinai rimangono nell'ombra.
 
Di seguito la rassegna stampa.
 
L'Eco di Bergamo, giovedì 30 marzo 2006
RISSA IN CITTA' ALTA, CONDANNATI 10 NAZISKIN
La sentenza del processo a Milano: tra gli imputati anche due bergamaschi. Pene fino a 4 anni e 8 mesi
 
Otto condanne con rito abbreviate, 2 patteggiamenti e un'assoluzione. Si è concluso così, ieri a Milano, il processo a 11 naziskin, finiti davanti al giudice per le udienze preliminari (gup) di Milano, Antonella Brambilla, con le accuse di associazione per delinquere, tentato omicidio, lesioni gravi, rissa e porto di oggetti atti a offendere. Tra loro ci sono anche 2 bergamaschi. Tra i fatti contestati agli imputati dal pm Luisa Zanetti anche una rissa avvenuta nell'agosto del 2004 in piazza Mascheroni, in Città Alta, un assalto avvenuto qualche giorno prima, sui Navigli a Milano, nei confronti di un gruppo di esponenti di un centro sociale (uno dei quali rimase ferito gravemente), e un episodio analogo, risalente al novembre successivo, sempre a Milano, in Porta Ticinese, contro un gruppo di punk. Due naziskin hanno patteggiato la pena a un anno e quattro mesi e un anno e dieci mesi, mentre per gli altri le pene inflitte con rito abbreviato variano da quattro anni e quattro mesi a quattro anni e otto mesi. Assolto, invece, l'undicesimo imputato. Anche la contestazione dell'associazione a delinquere è stata assolta. Gli undici naziskin finiti a processo erano stati indagati tra l'agosto del 2004 e il giugno dell'anno scorso, nell'ambito di un operazione condotta dalla Digos di Bergamo, agli ordini del vice questore aggiunto Alfredo Addato e del pm Enrico Pavone. Quattro di loro erano finiti in manette e altri quattro era stati indagati a piede libero. Tra gli arrestati anche un bergamasco. Tra gli arrestati anche un bergamasco: Enrico La Banca, 23 anni, di Treviolo. Gli altri «nazi» finiti in manette sono Giacomo Pedrazzoli, 22 anni, di Milano, arrestato subito dopo i fatti dell'agosto 2004 nel capoluogo lombardo; Stefano Colombo, 20 anni, di Inzago (Milano); Luigi Celeste, 22 anni, di Milano. Tra i denunciati a piede libero invece anche la ragazza di quest'ultimo, una diciottenne di Cologno al Serio. Secondo quanto ricostruito dalla Digos di Bergamo, il gruppo faceva riferimento alla cosiddetta «Skinhouse» di Milano: i naziskin facevano la spola, tra il milanese e la bergamasca, prendendo di mira ogni volta obbiettivi diversi. All'inizio di agosto 2004 il gruppo di naziskin prese parte a una rissa con un altro gruppo di ragazzi, appartenenti al centro sociale Pacì Paciana. Due giovani di quest'ultimo gruppo erano finiti in ospedale con ferite d'arma da taglio, picchiati altri due: i quattro erano stati denunciati a loro volta per rissa. La violenta lite era scoppiata alle 2:30 di notte, tra via Colleoni, piazza Mascheroni e la Cittadella. Nel processo di ieri, gli esponenti della fazione opposta si sono costituiti parte civile, difesi dall'avvocato Alessandro Magni, e hanno chiesto anche un risarcimento. In una delle liti nel milanese un ragazzo, Giuseppe C., rimase ferito in modo grave.
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